STORIA DELLA LANCIA APRILIA
Prima dell'Aprilia
Al salone di Parigi del 1932 fu presentata con il nome di Belna quella che poi sarebbe stata commercializzata nel 1933 in Italia con il nome di Augusta. Con tale vettura la Lancia affrontò il problema di una automobile leggera, di potenza limitata, a struttura portante, la cui accessibilità venne migliorata con l’adozione del sistema delle porte definito “ad armadio”. La vettura stilisticamente ripeteva però gusti e linee consolidati nel tempo, per cui le novità della vettura stavano più nelle parti non visibili che in quelle visibili.
Nel 1934 Lancia brevettò un progetto di autovettura a tre posti frontali, ardito ed avveniristico anche oggi. Il disegno illustra un veicolo aereodinamico a forma di uovo con posto di guida centrale avanzato, a destra ed a sinistra del quale, ma arretrati, vi sono altri due posti singoli ed infine dietro, sempre in posizione centrale, vi è un altro largo posto.
Si dice che essa sia stata la prima idea dell’Augusta, accantonata perchè troppo al di fuori ed al di là dei gusti dell’epoca, tuttavia, pare abbia costituito il germe dell’Aprilia.
Nasce l'Aprilia
Alla fine del 1934 la produzione Lancia si articolava sull’Augusta, sull’Artena, sull’Astura e sulla Dilambda, ancora costruita su richiesta. Le vetture, viste l’una vicina all’altra, si assomigliavano un po’ tutte, per cui si avvertiva l’esigenza di qualcosa di nuovo, qualcosa che replicase i fasti della Lambda. Tale veste non poteva esser assunta dall’Augusta dalla linea ancora classica e non più rispondente alle proposte stilistiche e alla conseguente evoluzione dei gusti che si stavano evidenziando (ricordiamo che di lì a poco la Fiat avrebbe rotto con la tradizione presentando nel 1935 la 1500 e nel 1936 la Topolino).
Si pensava quindi ad un’auto rivoluzionaria, ardita, anticonvenzionale, aerodinamica, in grado di fornire prestazioni medie superiori con una potenza limitata, stabile, maneggevole, veloce e fornita di ripresa. Fu così che Monsù Vincenzo Lancia, riuniti i propri collaboratori, fissò le caratteristiche del nuovo modello: peso ridotto (non oltre i 900kg) e linea fortemente aerodinamica, scocca portante, ampio abitacolo per cinque persone, sospensioni indipendenti sulle quattro ruote, motore a V stretto sistemato in posizione avanzata per contenere lo spazio destinato alla meccanica, cilindrata fra quella dell’Augusta e i 1500cc.
Il compito era davvero all’epoca molto arduo, ma lo staff dirigenziale non si perse d’animo e si diede alacremente all’opera. Direttore generale della Lancia era l’ing. Manlio Gracco, direttore tecnico l’ing. Giuseppe Baggi, direttore d’officina il sig. Alghisi. L’ufficio esperienze era diretto dal Cav. Battista Falchetto per la parte generale dei veicoli, dagli Ingg. Giuseppe Sola e Verga per i motori; collaudatore “Vigin” Gismondi. Iniziati gli studi su modellini presso il laboratorio aerodinamico di quest’ultimo, i disegni iniziali si concretarono in un modello in scala naturale eseguito in legno. Esteticamente esso presentava una lunga coda, il raccordo fra tetto e fiancate di raggio molto lungo, che dava una impressione di notevole rotondità al padiglione, i parafanghi posteriori chiusi: particolari tutti che le conferivano un aspetto, a “barca rovesciata”.
A Vincenzo Lancia non piacque esteticamente e ordinò che il raggio di raccordo fra tetto e fiancate fosse ridotto onde dare al padiglione maggior piattezza, ordinò pure che la coda fosse accorciata in modo da rendere la vettura più compatta. Per gli stessi motivi non gli piacque il taglio delle portiere, che era rettilineo lungo la linea di incernieratura, e lo volle curvilineo perchè si armonizzasse con l’andamento del padiglione, il che costrinse il Cav. Falchetto ad escogitare un particolare sistema di cerniere con perni a sfera inclinati.
Caratteristiche Aerodinamiche
Altre novità dal punto di vista aerodinamico, oltre la coda sfuggente, furono: i fari, carenati e collocati sui parafanghi, la superficie inferiore liscia e senza incavi, il parabrezza molto inclinato, il sistema di aerazione a doppio vetro, realizzato con piccole semilune fisse di cristallo sistemate nella parte superiore dei finestrini verso l’esterno, e l’assenza di gocciolatoio sopra le porte. Il coefficiente aerodinamico della vettura risultò essere 0.47.
La scocca fu studiata in modo da risultare il più leggera e rigida possibile e così: i fianchetti del motore furono conformati in modo da servire da passaggi ruota, le lamiere furono ridotte di spessore (8/10 per i rivestimenti e 12/10 per la struttura portante), e in alcune parti rinforzate con piegature a croce, il tunnel della trasmissione cosituì, al centro del pavimento, una struttura scatolata.
Le porte, come sull’Augusta, si aprivano ad armadio senza montante intermedio. La particolare conformazione degli scrocchi impediva alle porte vibrazioni e scuotimenti e contribuiva, quando erano chiuse, all’irrigidimento della struttura. Alle prove torsionali la scocca denunziò un valore di cedimento di soli 10 primi di grado. Ad una prova di carico per verificare se la scocca poteva subire deformazioni permanenti, questa fu appoggiata in corrispondenza degli assi delle ruote e quindi progressivamente caricata al centro con pesi di piombo finchè non si produsse lo strappo di un punto elettrico di saldatura: il peso raggiunto fu di 4500kg e le lamiere dimostrarono di non aver subito alcuna deformazione permanente.
Le novità tecniche
Intanto nell’inverno 1934-35 l’equipe dell’Ufficio tecnico cominciò a disegnare il motore a quattro cilindri a V stretto con una testata molto originale (coperta da molti brevetti), con camere emisferiche e dotata di un solo asse a canne con una particolare e complicata distribuzione; ciò al fine di poter mantenere l’angolo fra le valvole di 45°.
Anche il posizionamento delle candele fu risolto con l’invenzione di lunghi isolatori (165mm) che, penetrando dal di sopra il coperchio della testata, raggiungevano le candele avvitate in un foro posto al centro del cielo della camera di scoppio: sul coperchio della testa gli isolatori erano fermati da un tappo isolante con un innesto a molletta provvisto di guarnizione per impedire la fuoriuscita dell’olio.
Dopo poco tempo il tutto fu sostituito da un isolatore in un sol pezzo: le candele si trovavano quindi praticamente a bagno d’olio.
Per accrescere la leggerezza, il monoblocco era in alluminio, con le canne in acciaio riportate e le bielle, sulla cui testa erano stati ricavati direttamente i cuscinetti, erano di lega leggera. Al fine di rendere ancora più compatto il gruppo motore, e farlo contenere nell’esiguo spazio riservatogli: il radiatore venne montato solidamente al motore in modo da poterlo tenere molto ravvicinato, la dinamo inserita al centro di questo e sul suo albero (asse dell’indotto) calettato il ventilatore in lega leggera a due pale (comandato da una cinghia trapezioidale azionante anche la pompa dell’acqua posta sotto il radiatore). In tal modo, al contrario di tutti gli altri veicoli, veniva eliminata ogni possibilità che le vibrazioni del motore, elasticamente sospeso, potessero portare il ventilatore troppo vicino alla massa radiante a contatto con la stessa.
Si potè così ridurre a pochi centimetri la distanza tra ventilatore, radiatore e motore accorciando notevolemente le tubazioni di collegamento. La stessa dinamo, in tal modo, godeva di eccellente accessibilità e raffreddamento. Per le medesime considerazioni la pompa benzina, collegata al blocco motore da un lungo supporto, sporgeva al di sotto del radiatore sul davanti, ed era quindi facilmente accessibile, esposta all’aria e lontana da fonti di calore.