I Freni Idraulici dell'Aprilia
Le prime applicazioni dei freni a comando idraulico risalgono al 1908 ma si dovette attendere fino al 1921 perché la Duesemberg montasse efficienti freni idraulici sulla sua vettura da competizione vincitrice del GP di Francia.
Fu infatti l’americana Lockeed che nel 1920 ideò e realizzò il primo “sistema Lockeed” per freni idraulici costituito da un serbatoio che alimenta per caduta una pompa a pedale collegata a 4 cilindretti azionanti i ceppi dei freni, il tutto riempito da un liquido speciale ad alto punto di ebollizione.
Fin da quegli anni i prodotti Lockeed furono commerciati in esclusiva per l’Inghilterra e l’Europa Continentale della società inglese AP (Automotive Products) che ne iniziò da prima la importazione, poi la produzione su licenza nel 1929 ed infine ne acquistò il marchio costituendo la sussidiaria Lockheed Hydraulic Brake Company Ltd.
In Italia le prima vetture di serie a montare freni Lockeed fin dall’inizio della produzione furono nel 1931 la FIAT 515 e la 522 C e nel 1932 la 522 S e la 508 Balilla.
In casa Lancia monsù Censin era un po’ restio ad adottare tale novità per il timore di perdite dalle varie guarnizioni e soprattutto che il surriscaldamento dei freni provocasse la formazione di bolle nel liquido idraulico annullandone così il funzionamento. Note ed entrate nella leggenda sono le prove che Lancia fece personalmente sul prototipo Augusta, prima vettura della Casa dotata di freni idraulici “sistema Lockeed”, lungo la discesa da Superga a Sassi. La prima volta, arrivato a Sassi, il pedale del freno andò a fondo senza frenare.
I tamburi dei freni erano in acciaio: vennero rifatti in alluminio con fascia interna in ghisa e poi con superficie esterna rugosa e verniciati in nero opaco per massimizzare la dispersione del calore. In questo modo i freni resistettero non solo sulla Superga – Sassi ma anche sulla ben più lunga discesa dal Colle del Moncenisio. C’è un altro curioso aneddoto su le prove effettuate lungo la discesa del Moncenisio: il Colle è in territorio francese e a metà della discesa i collaudatori Lancia dovevano fermarsi per attraversare le dogane. Dopo alcune prove con queste soste, si accordarono con i doganieri francesi e italiani che acconsentirono di lasciarli passare in modo da verificare l’efficienza dei freni sull’intera discesa. Anche questa prova dimostrò l’efficienza e la affidabilità del sistema frenante idraulico.
Lancia così deliberò l’applicazione del comando idraulico sull’Augusta nel 1932, un anno dopo la FIAT, e da allora tutte le Lancia successive ebbero tale sistema frenante. L’impianto frenante dell’Aprilia, fabbricato secondo il “sistema Lockeed”, era prodotto almeno dal 1937 dalla Marelli e fu montato fino alla vettura 438-12777 nel 1946. Dalla vettura 438-12778 fu montato un nuovo impianto prodotto dalla consociata Lancia SABIF.
DUE PAROLE SULLA SABIF: nel 1941 la Lancia tentò un accordo con l’Alfa Romeo per la produzione di freni ad aria compressa ed ammortizzatori. Del progetto si concretizza solo una parte con la costituzione della SABIF (Società per Azioni Brevetti Italiani Freni) con capitale al 60% Lancia e 40% Alfa Romeo con stabilimento nel Comune di Grugliasco. La SABIF nel 1955 sarà interamente rilevata dalla Lancia e nel 1958, nell’ambito della terapia di risanamento voluta dall’amministratore delegato Fidanza, lo stabilimento chiuderà i battenti e sarà venduto due anni dopo ad una società immobiliare.
I tecnici Lancia non resistettero alla tentazione di un ennesimo “preziosismo Lancia” complicando abbastanza inutilmente un sistema ormai collaudato e applicando all’Aprilia un brevetto del 1934 registrato a nome di Giovanni Farina (fondatore della carrozzeria Stabilimento Farina attiva dal 1906 al 1953, fratello maggiore di Battista Pinin Farina e padre di Nino, campione mondiale di formula 1 nel 1950).
Ecco il disegno che accompagnava il brevetto (in questo caso canadese)
Comparve sul serbatoio dei freni un’astina con anello collegata ad una pompa ausiliaria che, caricata tirando in alto l’anello e grazie a una molla, manteneva in pressione il circuito con un carico più che doppio rispetto al semplice carico idrostatico
L’utilità pratica di tale congegno si limita ad una maggior (e dubbia) comodità da parte del meccanico che deve effettuare lo spurgo dei freni e per il proprietario alla comodità di poter controllare con una semplice occhiata che le guarnizioni e le giunzioni dell’impianto non presentino perdite e che quindi il livello del liquido non sia calato, senza dover svitare il tappo del serbatoio. Tutto ciò con l’aggravio di molle, valvoline, guarnizioni possibili fonti di guasti.
Questa soluzione fu applicata anche sulla coeva Ardea e su tutte le Lancia successive fino alla Flavia prima di rendersi conto che tale complicazione nulla aggiungeva in termini di sicurezza rispetto ai normali serbatoi a gravità come usati dalla FIAT.
Questi preziosismi sono sempre stati una caratteristica costante nella produzione Lancia unitamente alla scelta del meglio in fatto di materiali anche quando si sarebbe potuto impiegare materie prime di qualità inferiore senza minimamente intaccare la qualità globale del prodotto né la affidabilità. Questa scelta industriale continuò anche con la gestione Pesenti: valga da esempio la scelta del costoso alluminio per le portiere della Fulvia I serie poi sostituite con il più pesante ma economico acciaio. E sapete cosa ne fecero delle lastre di alluminio avanzate? Anziché essere rivendute furono usate per stampare i vassoi della mensa di Chivasso!
Guido Barbieri